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Le prefiche di Aune

Ancora alla fine del XIX secolo ad Aune alcune donne continuavano ad esercitare un mestiere antico, risalente all'epoca romana ma sopravvissuto al cristianesimo e diffuso negli ultimi tempi soprattutto nei villaggi del centro-sud Italia. Le prefiche, così erano chiamate, venivano ingaggiate per piangere e disperarsi durante i funerali coinvolgendo nell'espressione del dolore anche le altre donne presenti. Maggiore era il compenso, più le loro grida salivano acute verso il cielo e potevano arrivare a strapparsi i capelli. Con i secoli si era così formato un repertorio caratteristico di cantilene rimate, o lamentazioni, in lingua locale. Verso la fine dell'Ottocento gli storici Mons. Zanettini e Don A. Vecellio ne trascrissero alcune, prima che se ne perdesse per sempre memoria. Eccole:

1) No piande par el mort, ma piande ancoi, parché ciape na quarta de fasoi (Non piango per il morto, ma piango oggi perché prendo un quarto di fagioli);

2)On, on, caro el me on, tan bel, tan brau, tan bon; an altro come ti, nol troverò mai pì (Marito, marito, caro il mio marito, tanto bello, tanto bravo; un altro come te non lo troverò mai più);

3)El ben che me olea Bovo, el me marì! No me ha mai dat na botta; nol magnea gnanca an ovo che nol me desse meda la ballotta (Il bene che mi voleva Bovo, mio marito! Non mi ha mai picchiato; non mangiava neanche un uovo senza che me ne desse mezzo);

4)In quattro dì, in quattro dì, cor del me cor, morir cussì! Cor del me cor, prega par mi, che trove presto 'n altro marì (In quattro giorni, cuore del mio cuore, morire così! Cuore del mio cuore, prega per me che trovi presto un altro marito.).

Una vecchia storia parla di Duan (Giovanni) che era caduto in uno stato di morte apparente. Durante il trasporto del feretro fu risvegliato da un ramo di noce che lo colpì in viso (allora era usanza trasportare i morti scoperti fino al cimitero). Dopo un anno però morì davvero, e alla funzione funebre la moglie e le prefiche intonarono questa lamentazione: Pizzigamort, pizzigamort, no feme sto tort, no feme sto tort, e 'n poc lontan ste da quel ran, che 'l me Duan no fae cau de an! (Becchini, becchini, non fatemi questo torto, e state lontani da quel ramo perché il mio Giovanni non sopravviva un altro anno).